E’ il punto di partenza da cui si muove il racconto: una parola, un’immagine, un riferimento. Come la bitta dalla quale si scioglie l’ormeggio per partire.

Bitta: 

L’albero

E’ l’ambito in cui avviene la storia: la cornice cronologica o geografica o semplicemente la situazione che fa da confine all’avventura. Come il campo di regata in cui si muove un viaggio in mare.

Spazio: 

In primavera

E’ la durata della partita, con l’indicazione di eventuali manche e suggerimenti da dare.

Tempo: 

Partenza in data 31 Marzo, approdo in data 13 Aprile.
24 ore di scrittura e 24 ore per mettere la propria boa, in ordine di iscrizione.

E’ il modo in cui si può raccontare: con parole, fotografie, suoni. Come la barca con la quale si naviga.

Mezzo: 

Parole scritte. 490 battute per manche settimanali.

Stabilisce il fatto che le storie siano visibili a chiunque passa il porto (pubbliche) o soltanto ai membri dell’equipaggio che sta giocando/navigando (private)

Visibilità: Pubblico

Stabilisce quanti sono i partecipanti alla partita, è utile nelle barche in partenza per vedere quanti posti ci sono ancora e quanti giocatori si possono ancora iscrivere.

Posti: Max 6

Equipaggio

AUTORE: Ali

AUTORE: Chiara

L'albero

“Ti ho preso un regalo”, mi aveva annunciato al telefono, solenne, dandomi appuntamento sul viale, sotto la magnolia fiorita. Ebbi tutto il tempo di immaginare qualsiasi cosa, tanto a lungo attesi. Ma non mettevo in dubbio che sarebbe arrivato e mi avrebbe stupita. Finalmente apparve da lontano, col suo maglione giallo sformato, fatto ai ferri dalla nonna: trascinava faticosamente un peso enorme. Gli andai incontro, a disagio. Aveva gli occhiali appannati. “Per te”, ansimò. Un albero. “Una quercia!”, precisò. Risentii mia sorella, beffarda: “Quelli normali tu no, eh!”.

C’era una volta, molto tempo fa, un uomo, che abitava in mezzo al deserto, in una tenda ricoperta da una pelle di cammello e costruita con poche assi di legno tenute insieme da una corda ingiallita. Quest’uomo aveva un sogno: piantare un albero in mezzo al deserto. Aveva già pianificato tutto: il cosa, il quando e il come. Il primo ostacolo da superare, dunque, era quello di andare a cercare e di trovare l’esemplare di pianta che, secondo l’uomo, sarebbe riuscito a sopravvivere in quel luogo ostile: la prosopis cineraria. Partire per un’impresa simile, per lui, non era cosa da poco.

Luna nuova

No: io lo volevo speciale. Lo abbracciai. “E adesso?” Buttai lì. Mica potevo piantare la quercia sul balcone dei miei in centro città. “La portiamo ai Sarazin!”, disse, come se avesse pianificato tutto. L’idea mi piacque: quella borgata abbandonata a 1300 metri era diventata un po’ il nostro posto. Fu un’impresa arrivarci, tanto più che era una notte di luna nuova e non si vedeva a una spanna. Salimmo in un silenzio intenso di vibrazioni e di aspettative. “La quercia rappresenta la forza – proclamò a un tratto. – La virtù che ci serve”. Si fermò e mi prese le mani. “Che significa?”.

Poi, doveva essere pronto in tempo per la prima luna nuova di primavera. L’uomo del deserto, però, non aveva mai visto la primavera. Percepiva alcuni cambiamenti di stagione dal vento che veniva dal mare, dal volo degli uccelli e dalle radici di cui si nutriva, ma il luogo in cui viveva era per lo più torrido e perennemente secco. Tuttavia, i carovanieri che a volte passavano vicino alla sua tenda e che si fermavano per rifocillarsi gli avevano parlato di alberi che fioriscono, spandendo un delicato profumo, di animali che tornano a vivere e di aria tiepida che rinvigorisce i corpi.

soqquadro

Non abbassò lo sguardo. Ero così lucida e tesa che sentivo il suo battito nel mio. “Andrò a Sarajevo”, pronunciò in un fiato. Mi passò davanti tutto ciò che in quel tempo avevo fatto con lui e soprattutto pensando a lui. Tempo perso. Non gli ero bastata. La versione migliore di me l’avrebbe abbracciato, incoraggiato, rassicurato. Ma mi sentivo quella peggiore e volevo esserlo: la mia vita rivolta in una direzione era ora a soqquadro. E quella stupida quercia lì accanto a noi era l’emblema di tanta assurdità. La forza. Ne avessi avuta abbastanza gliela avrei tirata sulla testa.

La donna che l’aveva salvato però era stata molto chiara: il giorno della prima luna nuova della prossima primavera, pianterai un albero in mezzo al deserto, solo così potrai evitare che nel mondo si scateni il caos. Erano state le sue ultime parole, poi era morta tra le sue braccia. Un sacrificio così richiedeva da parte sua il massimo impegno per riuscire nella sua missione. Ancora ricordava con estrema chiarezza i momenti di terrore, quando era stato attaccato dalla tribù dei badawi, che avevano messo a soqquadro la sua tenda e lo avevano accerchiato, pronti ad ucciderlo.

Ingenuità

“Ma a Sarajevo è appena finita la guerra!” obiettai. “Appunto! C’è bisogno di tutto, specialmente di dottori.” “Tu sei uno studente di medicina! Non sai fare neanche una puntura.” “Imparerò, Ali, impareremo insieme, se vorrai. Vieni anche tu!” “Io?”. Non avevo preso in considerazione che me lo chiedesse. “Noi due insieme a lavorare in ospedale, ci pensi?”. La situazione era surreale, la sua ingenuità sorprendente. “Non rispondermi subito, ti spiego tutto”. E iniziò a parlare, non so per quanto tempo. Io e lui, di fronte, con la quercia nel mezzo, presenza viva e possente.

Quando si era reso conto di non avere via di scampo, aveva pregato i suoi antenati che la fine fosse rapida. Poi, in un barlume di lucidità, si era chiesto il motivo di quell’attacco: nella sua misera tenda non aveva nulla per cui valesse la pena compiere un furto. Era stato ingenuo: possedeva qualcosa di molto prezioso, ma ancora non lo sapeva. Per questo, quando la donna che gli aveva salvato la vita gli aveva spiegato il suo destino, l’uomo si era reso conto che i sogni che faceva da quando era bambino non erano solo proiezioni dei suoi desideri, ma un disegno scritto nelle stelle.

Casetta di legno

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