Tempo:
Partenza in data 31 Marzo, approdo in data 13 Aprile.
24 ore di scrittura e 24 ore per mettere la propria boa, in ordine di iscrizione.
Mezzo:
Parole scritte. 490 battute per manche settimanali.
AUTORE: Ali
AUTORE: Chiara
AUTORE: Cricri
AUTORE: Effetici
AUTORE: Kaa
AUTORE: Nina
L'albero
“Ti ho preso un regalo”, mi aveva annunciato al telefono, solenne, dandomi appuntamento sul viale, sotto la magnolia fiorita. Ebbi tutto il tempo di immaginare qualsiasi cosa, tanto a lungo attesi. Ma non mettevo in dubbio che sarebbe arrivato e mi avrebbe stupita. Finalmente apparve da lontano, col suo maglione giallo sformato, fatto ai ferri dalla nonna: trascinava faticosamente un peso enorme. Gli andai incontro, a disagio. Aveva gli occhiali appannati. “Per te”, ansimò. Un albero. “Una quercia!”, precisò. Risentii mia sorella, beffarda: “Quelli normali tu no, eh!”.
C’era una volta, molto tempo fa, un uomo, che abitava in mezzo al deserto, in una tenda ricoperta da una pelle di cammello e costruita con poche assi di legno tenute insieme da una corda ingiallita. Quest’uomo aveva un sogno: piantare un albero in mezzo al deserto. Aveva già pianificato tutto: il cosa, il quando e il come. Il primo ostacolo da superare, dunque, era quello di andare a cercare e di trovare l’esemplare di pianta che, secondo l’uomo, sarebbe riuscito a sopravvivere in quel luogo ostile: la prosopis cineraria. Partire per un’impresa simile, per lui, non era cosa da poco.
“Papà, guarda dove sono!!” Greta chiamò suo papà dalla cima dell’albero del giardino della casa nuova, in cui abitavano da pochi mesi. Era una splendida magnolia, dai fiori bianchi e rosa. All’inizio della primavera sbocciava e riempiva il giardino del suo profumo intenso.”Mi aiuti a scendere?” “Greta, quante volte ti ho detto di non salire fin lassù! E se cadi? Ti fai male!” Il papà la rimproverava, ma allo stesso tempo guardare sua figlia gli ricordava di quando anche lui era stato bambino e adorava arrampicarsi sull’albero. Sugli alberi. E le raccontò di quella volta in cui…
Era una tiepida giornata di primavera .Teresa guardava fuori dalla finestra dell’aula, e pensava che tra poco sarebbe suonato il campanello della ricreazione. La maestra stava leggendo una brutta poesia :” L’albero a cui tendevi la pargoletta mano…” Pargoletta, che ridere! Martini, del secondo banco della fila dei maschi, aveva chiesto se si potesse dire piccoletta mano, ma la maestra aveva detto no.
Anche la signora Sarà un giorno aveva chiesto, chinandosi sul passeggino del fratellino di Teresa, “E questo pargoletto che fa? e alla mamma era scappato da ridere!”
Quest’anno la primavera non ha bussato e come dice la canzone: è entrata sicura nel giardino della signora Bray per far fiorire la grande magnolia al centro del prato sul retro della casa. Fred la tartaruga passeggia su qualche petalo rosa caduto sotto l’albero, ma non c’è traccia della volpe che a volte attraversa la recinzione. Qui Carrie vive sola: non ha voluto spostarsi in centro quando è mancato suo marito Finn, come avrebbero voluto i figli e continua ad occuparsi di ogni pianta e di ogni fiore. Qui Carrie è contenta perché dice che c’è posto per ogni persona e ogni cosa.
C’è un posto sopra la collina, che è speciale per me. È il mio posto dell’ anima. È lì che vado ogni volta che ho bisogno di prendere o posare energie. Al centro c’è un albero. È un pero, che in primavera regala dei meravigliosi fiori bianchi e rosa.
È lì che sono corso appena ho saputo di essere stato preso nell’ esercito. Avevo bisogno di capire di che cosa fosse fatta la mia eccitazione alla notizia. Paura, gioia, speranza di nuove possibilità, timore per ciò che mi avrebbe aspettato… Mi sembrava qualcosa di grande – molto più grande di me – che mi dava un’ idea di importanza.
Luna nuova
No: io lo volevo speciale. Lo abbracciai. “E adesso?” Buttai lì. Mica potevo piantare la quercia sul balcone dei miei in centro città. “La portiamo ai Sarazin!”, disse, come se avesse pianificato tutto. L’idea mi piacque: quella borgata abbandonata a 1300 metri era diventata un po’ il nostro posto. Fu un’impresa arrivarci, tanto più che era una notte di luna nuova e non si vedeva a una spanna. Salimmo in un silenzio intenso di vibrazioni e di aspettative. “La quercia rappresenta la forza – proclamò a un tratto. – La virtù che ci serve”. Si fermò e mi prese le mani. “Che significa?”.
Poi, doveva essere pronto in tempo per la prima luna nuova di primavera. L’uomo del deserto, però, non aveva mai visto la primavera. Percepiva alcuni cambiamenti di stagione dal vento che veniva dal mare, dal volo degli uccelli e dalle radici di cui si nutriva, ma il luogo in cui viveva era per lo più torrido e perennemente secco. Tuttavia, i carovanieri che a volte passavano vicino alla sua tenda e che si fermavano per rifocillarsi gli avevano parlato di alberi che fioriscono, spandendo un delicato profumo, di animali che tornano a vivere e di aria tiepida che rinvigorisce i corpi.
aveva deciso,
con i suoi amici, in un noioso pomeriggio d’estate,
di avventurarsi nel bosco quella stessa sera.La notte sarebbe calata tardi, e la luna avrebbe illuminato i loro passi al ritorno.L’appuntamento era per le sette di sera,proprio là dove iniziava”Ci siamo tutti? ” disse Lollo con il suo fare spavaldo e un po’ strafottente.Si guardarono: erano cinque ragazzini di 12 anni, ancora sporchi e sudati dal pomeriggio di giochi e di caldo. Sì.C’erano tutti. Ma non sapevano che quel giorno il calendario segnava luna nuova: non ci sarebbe stata luce a illuminare i loro passi.
Teresa ripeteva sottovoce la poesia, fissando la parete alle spalle della maestra. Sulla parete c’era la carta geografica dell’Italia e una tabella del sistema solare con la terra ,una luna piena, una luna nuova, una mezza luna, e un quarto di luna. Teresa guardava i cartelloni appesi e intanto sperava che la maestra non la chiamasse alla cattedra per recitare la poesia. Se avesse dimenticato qualche parola o avesse confuso le rime, Silvestro Tullio durante la ricreazione avrebbe cantilenato più volte: ” Non hai saputo, testa di velluto”. Ma mancò il tempo e suonò il campanello.
Coltiva anche un angolo di orto cercando di evitare che il rabarbaro si allarghi troppo infestando tutto il resto. La settimana prossima sarà luna nuova: tempo buono per seminare. Buono anche per riordinare le idee e prendere decisioni: è un po’ di tempo che Carrie rimanda di spedire una lettera che ha scritto ormai da tempo. E’ indirizzata a un giovane di Amburgo: per rintracciare il suo indirizzo si è fatta aiutare da una nipote che traffica con internet. Non lo conosce direttamente, ma sa che è il figlio di Anja, amica da più di sessant’anni, rimasta vedova lo scorso anno come lei.
Anche stasera sento il bisogno di tornare: il mio cuore è inquieto e l’albero forse lo placherà. La primavera porta sempre energie nuove, ma fa anche riaffiorare ricordi antichi. Mentre salgo sulla collina, alzo lo sguardo in cielo, c’è un piccolissimo spicchio, un filo di luce appeso: anche la luna nuova mi parla di novità e di silenzio.
Allungo la mano, sento la scorza ruvida sotto il palmo, mi dà sicurezza, mi ancora alla terra. Respiro profondo, il cuore si calma. La nostalgia è palpabile come la corteccia del pero.
soqquadro
Non abbassò lo sguardo. Ero così lucida e tesa che sentivo il suo battito nel mio. “Andrò a Sarajevo”, pronunciò in un fiato. Mi passò davanti tutto ciò che in quel tempo avevo fatto con lui e soprattutto pensando a lui. Tempo perso. Non gli ero bastata. La versione migliore di me l’avrebbe abbracciato, incoraggiato, rassicurato. Ma mi sentivo quella peggiore e volevo esserlo: la mia vita rivolta in una direzione era ora a soqquadro. E quella stupida quercia lì accanto a noi era l’emblema di tanta assurdità. La forza. Ne avessi avuta abbastanza gliela avrei tirata sulla testa.
La donna che l’aveva salvato però era stata molto chiara: il giorno della prima luna nuova della prossima primavera, pianterai un albero in mezzo al deserto, solo così potrai evitare che nel mondo si scateni il caos. Erano state le sue ultime parole, poi era morta tra le sue braccia. Un sacrificio così richiedeva da parte sua il massimo impegno per riuscire nella sua missione. Ancora ricordava con estrema chiarezza i momenti di terrore, quando era stato attaccato dalla tribù dei badawi, che avevano messo a soqquadro la sua tenda e lo avevano accerchiato, pronti ad ucciderlo.
Ma la ricreazione metteva ansia a Teresa. Capitava che qualcuno dei maschi si fermasse in classe e che mettesse a soqquadro i quaderni e le cartelline dei compagni; mentre le femmine uscivano in cortile a spettegolare o a raccontare storie terribili. Una volta Luigina aveva raccontato di un ragazzo che aveva visto un uomo senza testa attraversare la strada e la testa rotolare davanti a lui tutta insanguinata. Quando, dopo la scuola, Teresa si fermava al Catechismo e incominciava a fare buio, lei, che abitava in periferia, aveva il terrore di incontrare quella testa spaventosa.
Spesso quando qualcuno se ne va lascia in chi resta tutto un po’ a soqquadro, come quando la finestra rimane aperta durante una tempesta e disperde i fogli della scrivania per la stanza. O come quella volta che la volpe si è infilata nel capanno degli attrezzi e ha sparso semi e piantine sul pavimento. Quando Finn se ne è andato la vita a Carrie è sembrata improvvisamente disordinata, anche se aveva avuto modo di prepararsi a quel commiato c’è voluto del tempo per ridare un ordine alle cose, per raccogliere ogni foglio fatto volare dal vento, ogni piantina e ogni seme sparso dalla volpe.
Ricordo tutto di quel giorno: la brezza sulla pelle, l’aria tesa e vibrante, la concentrazione per la sortita, il sudore sotto l’elmetto, persino l’odore del posto, un misto tra palude e prato appena falciato. Ma mi sforzo di non farlo perché lo struggimento mi prende alla gola, sento di nuovo il terrore di quel momento e lo rifiuto. Non voglio ricordare il rumore delle mitragliatrici, lo scoppio accanto a me, il liquido caldo e vischioso sul viso e sulle mani, l’odore di bruciato e Luigi che non mi risponde più. Il mondo capovolto, tutto a soqquadro, tutto sbagliato.
Ingenuità
“Ma a Sarajevo è appena finita la guerra!” obiettai. “Appunto! C’è bisogno di tutto, specialmente di dottori.” “Tu sei uno studente di medicina! Non sai fare neanche una puntura.” “Imparerò, Ali, impareremo insieme, se vorrai. Vieni anche tu!” “Io?”. Non avevo preso in considerazione che me lo chiedesse. “Noi due insieme a lavorare in ospedale, ci pensi?”. La situazione era surreale, la sua ingenuità sorprendente. “Non rispondermi subito, ti spiego tutto”. E iniziò a parlare, non so per quanto tempo. Io e lui, di fronte, con la quercia nel mezzo, presenza viva e possente.
Quando si era reso conto di non avere via di scampo, aveva pregato i suoi antenati che la fine fosse rapida. Poi, in un barlume di lucidità, si era chiesto il motivo di quell’attacco: nella sua misera tenda non aveva nulla per cui valesse la pena compiere un furto. Era stato ingenuo: possedeva qualcosa di molto prezioso, ma ancora non lo sapeva. Per questo, quando la donna che gli aveva salvato la vita gli aveva spiegato il suo destino, l’uomo si era reso conto che i sogni che faceva da quando era bambino non erano solo proiezioni dei suoi desideri, ma un disegno scritto nelle stelle.
Eh, già!! Quanta ingenuità nel buttarsi in quell’impresa!! Infatti, se inizialmente i ragazzi sentivano il sapore dell’adrenalina attraversare i loro corpi dalla testa ai piedi, dopo qualche tempo (ma quanto tempo era passato? Mezz’ora? Un’ora? Difficile dirlo!) , quando ormai il sole era tramontato e il buio aveva abbracciato il bosco, si trovarono infreddoliti, stanchi, e soprattutto AL BUIO. Della luna, nessuna traccia.
La strada che Teresa doveva percorrere per tornare a casa era effettivamente poco frequentata e poco illuminata. Solo il ruscello che la costeggiava e rari frettolosi passanti le davano vita. Teresa cercava di non pensare alle storie raccontate dalla compagna, e, nella sua ingenuità, credeva che ripetere a mezza voce la poesia dell’albero o la tabellina del 7, potesse allontanare eventuali fantasmi. E poi, tra poco, la strada avrebbe deviato leggermente a sinistra e la sua casa sarebbe apparsa in lontananza. Ma uno strano rumore, come un cigolio, le fece affrettare il passo.
– Ti spedisco io quella lettera, mamma.
– Fallo dalla posta centrale quando passi in centro, così parte prima…
– Mamma se hai fretta puoi inviare una mail, Ceithleann ti ha trovato anche l’indirizzo di posta elettronica!
– Non essere ingenuo Reuben, certe cose non si scrivono sulla carta.
Reuben esce sorridendo e pensando a sua mamma. Continua ad essere preoccupato del fatto che vive da sola nella grande casa, ma tutte le volte che passa da lei la trova felice e serena intenta a sistemare qualcosa nell’orto o a telefonare e scrivere a tutte le persone che la conoscono e a cui vuole bene.
È passato tanto tempo da quel giorno e la mia vita non è stata mai più la stessa. La guerra sconvolge per sempre le vite di chi ne è travolto. Allora ero giovane e pieno di speranze. Ero partito volontario pensando di dare il mio contributo per… Per che cosa? La patria, la felicità, il futuro? Non lo so più. Non lo sapevo neppure allora, ma in quel momento mi sembrava importante avere una missione, un compito da svolgere, qualcosa da conquistare.
E invece ho solamente perso: la mia giovinezza, la mia ingenuità, il mio sguardo sul mondo. E Luigi.
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