Le prime cose che percepisco appena metto piede fuori casa sono l’aria fredda e pungente, che sembra volermi avvolgere anche da sopra il cappotto pesante che sto indossando, e il rimbombo di un tuono, proveniente dal cielo pieno di nuvole nere che si staglia sopra la mia testa. Mi lascio scappare uno sbuffo frustrato, non fraintendetemi, non mi sarei mai aspettato che il posto deprimente in cui ci siamo ritirati dopo la guerra potesse diventare improvvisamente la versione reale del paese dei balocchi ma di certo non mi dispiacerebbe riuscire a vedere la luce del sole e a sentirne il calore almeno una volta al mese.
Scendo le scale del portico e mi avvio per una delle infinite vie della mia città, ci ho messo anni per imparare a distinguerle, sono tutte uguali: tutte fatte di ciottolato, tutte silenziose, tutte oscure, esattamente come il temporale che fra poco inizierà ad inondarle. L’aria mi insegue mentre cammino, passando svogliatamente tra i rami degli alberi per fare cadere in terra le poche foglie rimaste superstiti alla sua ira feroce, sembra quasi che voglia vegliare su di me, facendomi compagnia durante il mio tragitto rattristante. Le persone che incontro per strada sono poche e tutte mi rifilano le stesse occhiate sorprese, come se fosse un evento vedermi uscire fuori dalla mia casetta trasandata, sinceramente non riesco a biasimarli, non sono mai stato un tipo particolarmente socievole, l’unica persona che riusciva a tenermi ancorato alla mia instabile realtà era Mary, è grazie a lei se ora riesco a riconoscere i volti di qualunque abitante mi passi davanti, anche se lentamente stanno iniziando a sbiadire esattamente come il ricordo che ho di lei.
Cambio direzione con la testa tra le nuvole e il suono di musica jazz inizia ad inondarmi le orecchie. Mary amava il jazz, non riesco neanche a ricordare quanto mi abbia fatto spendere per tutti quei vinili, all’inizio la cosa mi rendeva un po’ seccato, ma se ripenso a l’immagine di lei che canticchia e balla in salotto a tempo di musica, non riesco neanche ad immaginare un motivo migliore per cui avrei potuto spendere quei soldi. Raggiungo il musicista che suona a lato della strada e senza neanche pensarci faccio scivolare nella custodia aperta del suo sassofono una banconota da 10 sterline, lo sguardo che lui mi restituisce è caldo, pieno di gratitudine, può sembrare egoista da parte mia dire che l’ho fatto solo perché so che lei avrebbe voluto così.
Mi rimetto in cammino e mano a mano che mi allontano la melodia scompare facendo ritornare quell’eterno silenzio di cui mi sono costantemente nutrito da quando l’ho persa. Forse dovrei cercare di andare avanti, forse dovrei sforzarmi di riuscire a trovare una nuova felicità, ma mi spiegate che senso ha provare quando l’unica vera persona in grado di farmi sentire umano mi è stata sottratta? L’aria fredda, ormai mia fedele compagna, mi segue facendomi svolazzare le vesti mentre con passo insicuro mi dirigo verso la mia destinazione finale: Il cimitero della città. Mentre varco il vecchio cancello arrugginito con un nodo alla gola, le spine della rosa rossa che tengo fra le mani sudate mi graffiano accidentalmente i polpastrelli. Ma adesso non ha importanza, non ora che riesco finalmente a scorgerla. La mia Mary. Il sorriso scolorito che mi restituisce la sua foto mi pugnala al cuore con la potenza di un coltello mentre, con cura, adagio il fiore ai suoi piedi e facendomi forza con voce tremante e guance rigate di lacrime le sussurro: “Buon anniversario, amore mio.”